Tatuaggio consapevole

Nell’immaginario collettivo il tatuaggio rappresenta da sempre, per l’uomo, una modalità con la quale caratterizzare se stesso.

La prima testimonianza di uomo tatuato ce la regala Ötzi, l’uomo venuto dal ghiaccio, vissuto 5300 anni fa. Sul suo corpo sono stati rinvenuti 61 tatuaggi raffiguranti fasci di linee e croci, realizzati mediante minuscoli tagli successivamente riempiti da carbone vegetale, attraverso la tecnica dello sfregamento. La localizzazione dei tatuaggi induce a pensare che essi avessero una funzione terapeutica, essendo distribuiti in distretti anatomici sottoposti a grandi sollecitazioni meccaniche ed a fenomeni di usura.

Un’altra testimonianza affascinante nella storia dei tattoo ce la offre la principessa di Altaj, una giovane donna siberiana vissuta oltre 2500 anni fa. Sul suo corpo sono stati reperiti complessi ed eleganti tatuaggi eseguiti da un artista estremamente abile e raffinato.

Non si sottrassero a questa pratica neppure le donne dell’Antico Egitto, che, essendo assai attente alla cura della propria bellezza, amavano fare sfoggio di tatuaggi esteticamente gradevoli e con altissimo valore simbolico.

I tatuaggi furono molto gettonati anche dai barbari che li utilizzavano per contrassegnare le tribù, riconoscere alleati o nemici e per incutere paura in battaglia.

Non è difficile intuire lo stupore/terrore che provarono gli antichi Romani quando ebbero contatti ravvicinati con i barbari. Con il trascorrere degli anni i tatuaggi si diffusero anche nella cultura romana. I primi a farsi tatuare volontariamente furono i soldati, per una sorta di giuramento scritto con i propri commilitoni. Poi, con l’instaurarsi delle legioni, il tatuaggio si trasformò in obbligatorio per i soldati, poiché, essendo indelebile, diventava un mezzo valido per scoraggiare la diserzione, che era punita con la condanna a morte.

Dalle testimonianze di Plinio e Svetonio, apprendiamo che gli schiavi romani venivano marchiati con le iniziali del proprio padrone o, nel caso fossero stati sorpresi a rubare, erano marchiati a fuoco sulla fronte.

È peraltro da rilevare che, prima che il Cristianesimo divenisse religione lecita e, successivamente religione di Stato, molti cristiani si tatuavano sulla pelle simboli religiosi per marcare la propria identità spirituale.

Nel 787 d.C. Papa Adriano I proibì l’uso dei tatuaggi perché troppo intrisi di paganesimo. Nonostante la proibizione, però, pare che, anche durante le crociate, molti militari si facessero tatuare con la croce cristiana per fede e per protezione.

Nel vecchio continente, il tatuaggio riemerse dall’ombra nella seconda metà del XIX secolo, con la pubblicazione nel 1876 del saggio Luomo delinquente dell’ufficiale medico, Cesare Lombroso. L’autore mise in stretta correlazione il tatuaggio con la degenerazione morale innata nel delinquente. Infatti, per Lombroso, il segno tatuato rientrava fra le anomalie anatomiche in grado di far riconoscere il tipo antropologico del delinquente. Egli riteneva che il delinquente nato mostrasse specifiche caratteristiche antropologiche che molto lo avvicinavano agli animali e agli uomini primitivi e che l’atto di tatuarsi da parte di  criminali recidivi fosse da leggersi come sintomo di una regressione allo stato primitivo e selvatico.

Ai nostri giorni farsi tatuare è una moda di massa. Il tatuaggio, uscito dalla storia delle classi subalterne, è entrato nell’era dell’omologazione. Oggi, un serpente marchiato su un braccio non svela ciò che poteva rivelare, oltre un secolo fa, sul deltoide di un condannato per furto, rapina, associazione a delinquere. Infatti, quel serpente raccontava, come ci informano le note di Lombroso e dei suoi collaboratori, quasi sempre basate sulla scorta delle spiegazioni fornite dai medesimi tatuati, che il condannato era legato alla Questura dai cui lacci non poteva sciogliersi. Il corpo tatuato era il racconto di autentiche  e tragiche storie personali, intessute di ricordi e di sogni spezzati, di odii e di amori.

Che significato hanno gli innumerevoli tatuaggi che vediamo oggi sul corpo di molti tra noi? Giovani, vecchi, uomini, donne. Tatuaggi nascosti, con chiara finalità erotica, tatuaggi esibiti, accoppiati negli uomini con la funesta moda delle canottiere da indossare anche in città.

Per tentare di esplorare le motivazioni che spingono un individuo a farsi marchiare riporto alcune riflessioni fatte dal dott. Alessandro Defilippi, psicoanalista junghiano.

“Quello del tatuaggio è un fenomeno antropologicamente e psicologicamente assai complesso. Mentre un tempo era indice di un avvenuto rito d’iniziazione, al pari della limatura dei denti, delle scarificazioni, delle stesse circoncisione e infibulazione, oppure dell’appartenenza a un gruppo, strutturato o meno (si pensi al discorso di Lombroso sulla frequenza dei tatuaggi tra i cosiddetti delinquenti), mi pare che oggi abbia assunto invece un valore di costruttore dell’identità, non dissimile in questo dall’uso dei social network. Intendo dire che il tatuaggio viene vissuto come un elemento fondatore dell’identità, legato alla Persona, ossia all’interfaccia sociale. Io mostro dunque sono. Da un lato potremmo pensare che il forte ritorno della cultura del tatuaggio sia legato a una sorta di scarsa alfabetizzazione emotiva ed espressiva: io non sono in grado di esprimere me stesso attraverso il linguaggio e quindi lo faccio attraverso il corpo. In questo senso si potrebbe apparentare l’uso del tatuaggio alla sintomatologia psicosomatica, in cui le emozioni non elaborate si esprimono attraverso il disturbo somatico. D’altro canto è evidentemente presente, in una cultura comunque caratterizzata dal pensiero debole, la necessità di identificarsi, nel senso di costruire un’identità. Il tatuaggio allora, soprattutto quello con maggiore valenza simbolica, come il tatuaggio tribale, diviene un modo di dire agli altri: io sono questa cosa, simbolicamente rappresentata dal disegno indelebile o quasi che porto sulla pelle. Ma questa necessità di identificazione è chiaramente rivolta anche a se stessi, entrando quindi, sia nella relazione con l’Altro, sia nell’immagine di sé in quegli aspetti di interfaccia esteriore che Jung attribuisce alla Persona, ossia a quella che potremmo definire la maschera sociale. Non va peraltro sottovalutato il desiderio di uscire dalla omologazione culturale e sociale prevalente negli ultimi decenni. Da questo punto di vista, però, è ovvio come anche la cultura del tatuaggio entri ormai nella modernità come un’ulteriore omologazione”

 

Spesso, purtroppo, coloro che desiderano sottoporsi ad un tatuaggio tendono a dimenticare che, dietro a tale metodica invasiva così “gettonata”, si possono nascondere potenziali rischi per la salute:

  • Reazioni allergiche locali imputabili agli inchiostri (dermatite allergica, reazioni dii fotosensibilizzazione) La reazione allergica può verificarsi anche diversi anni dopo il tatuaggio.
  • Infezioni batteriche locali: imputabili a carenze igienico-sanitarie durante la seduta di tatuaggio (ascesso, impetigine)
  • Infezioni batteriche sistemiche: imputabili a carenze igienico-sanitarie durante la seduta di tatuaggio (sepsi, endocardite)
  • Infezioni virali imputabili ad attrezzatura impiegata,  per la realizzazione del tatuaggio, contaminata da sangue infetto (epatite B/C e HIV)

 

La massiva diffusione della pratica del tatuaggio in Italia ha indotto l’Istituto Superiore di Sanità a studiare il fenomeno per comprenderne la portata. L’indagine è stata effettuata, in collaborazione con l’IPR marketing, su un campione di quasi 8000 persone rappresentativo della popolazione italiana dai dodici anni in su. Dall’indagine emerge che 13 italiani su 100 colorano la propria pelle. Di questi il 96,5%  si tatua con lo scopo esclusivo di decorare il proprio corpo, lo 0,5% ha effettuato un tatuaggio con finalità mediche (per coprire condizioni patologiche della cute, al fine di ripristinare l’aspetto di una cute sana, e/o come complemento agli interventi di chirurgia ricostruttiva) e il 3% un tatuaggio per finalità estetiche, il cosiddetto trucco permanente. Dai dati emerge che i tatuaggi sono più diffusi tra le donne (13,8% delle intervistate) rispetto agli uomini (11,7%). Il primo tatuaggio viene effettuato a 25 anni, ma il numero maggiore di tatuati riguarda la fascia d’età tra i 35 e i 44 anni (29,9%). Circa 1.500.000 persone invece hanno tra i 25 e i 34 anni. Tra i minorenni la percentuale è pari al 7,7%. La maggior parte è soddisfatta del tatuaggio (il 92,2%), tuttavia un’elevata percentuale di tatuati, ben il 17,2%, ha dichiarato di voler rimuovere il proprio tatuaggio e di questi il 4,3% l’ha già fatto. Gli uomini preferiscono tatuarsi braccia, spalla e gambe, le donne soprattutto schiena, piedi e caviglie. Un tatuato su quattro (25,1%) risiede nel Nord Italia, il 30,7% ha una laurea e il 63,1 % lavora. Il 76.1% dei tatuati si è rivolto ad un centro specializzato di tatuaggi e il 9,1% ad un centro estetico, ma ben il 13,4% lo ha fatto al di fuori dei centri autorizzati e ciò può costituire una rilevante fonte di rischio per patologie infettivi gravi (epatite B, epatite C, HIV).Secondo i dati dell’indagine il 3,3% dei tatuati dichiara di aver avuto complicanze o reazioni: dolore, granulomi, ispessimento della pelle, reazioni allergiche, infezioni e pus. Ma il dato appare sottostimato. In tutti questi casi, solo il 12,1% si è rivolto a un dermatologo o al medico di famiglia (il 9,2%) e il 27,4% si è rivolto al proprio tatuatore, ma più della metà (il 51,3%) non ha consultato nessuno. In generale, comunque, solo il 58,2% degli intervistati è informato sui rischi: la percezione sui rischi considerati più frequenti riguarda le reazioni allergiche (79,2%), l’epatite virale(68,8%) Mentre, soltanto il 41,7% è adeguatamente informato sulle controindicazioni alla pratica del tatuaggio.

In Italia, in assenza di una legislazione prescrittiva specifica che disciplini espressamente la figura del tatuatore, la Regione Piemonte per ridurre il rischio trasmissione di infezioni correlate alla pratica del tatuaggio si è dotata nel 2003 di una normativa (Decreto n° 46 del 22/05/2003, disponibile in allegato), che fornisce indicazioni tecnico-sanitarie ed, in data 27/07/2016, la Giunta Regionale ha approvato la  DGR n. 20-3738, disponibile in allegato, che prevede la partecipazione obbligatoria dei tatuatori ad un corso una formazione, finalizzato all’acquisizione di adeguate conoscenze sotto i profili igienico-sanitari e di prevenzione.

 

Concluderei questa panoramica sul tatuaggio, invitando colui o colei che fossero interessati a farsi tatuare a:

  1. Riflettere sul fatto che il tatuaggio è un marchio rimovibile non agevolmente.
  2. Leggere attentamente, prima di recarsi al centro tattoo, l’allegato D inserito all’interno del Decreto n°46 del 22/05/2003 della Regione Piemonte, riguardante il consenso informato sui rischi per la salute derivanti dall’applicazione di un tatuaggio e non limitarsi ad apporre una firma contestualmente alla seduta di tatuaggio. Una lettura consapevole ed in anticipo consentirà, qualora dovessero sorgere dei dubbi, di consultare un sanitario di fiducia.
  3. prima di scegliere il centro tattoo consultare l’opuscolo “istruzioni per uso” , in allegato, realizzato da  I.S.S.

Per ulteriori informazioni, riguardanti anche i centri tattoo censiti dal Servizio Igiene e Sanità Pubblica dell’ASL, contattare i seguenti numeri telefonici:

0173/316614 e 0173/316609

ASL CN2