La Cappellania Beato Sebastiano Valfrè è un servizio offerto dall’ospedale, in collaborazione con le Diocesi di Alba e Torino, per tutti coloro che hanno bisogno di trovare:
La Cappella si trova al piano 4 del Corpo Bra (blocco ascensori dopo passerella ingresso lato Verduno).
Le Sante Messe vengono celebrate dal lunedì al venerdì, alle ore 7:30.
L’altare, posto al centro del presbiterio è segno di Cristo stesso, che con il suo sacrificio infonde vita a tutta la Chiesa. La forma è quadrangolare a significare che “da tale mensa si sono nutrite e sempre si nutriranno le quattro parti del mondo”. (Simeone di Tessalonica).
Iconograficamente sul fronte è stato rappresentato un pesce, uno dei simboli cristiani più antichi, per ricordare Gesù, Figlio di Dio, salvatore del mondo. Il rosso evidenzia il sangue offerto sulla Croce, sia la divinità di Cristo, mentre l’oro indica la Gloria di Dio.
L’ambone, è il luogo che è memoria della resurrezione di Cristo. Lì viene proclamata la Parola che si attua fondando la nostra fede. La sua struttura richiama quella dell’altare, a simboleggiare che il Verbo, annunciato dall’ambone si fa carne sull’altare. L’ambone è posto in posizione avanzata verso l’assemblea ad evocare che è la Parola che avanza verso i fedeli.
Il taglio in oro sul fronte è simbolo del sepolcro aperto, da cui scaturisce Cristo risorto, Luce del mondo.
La via Crucis evidenzia il cammino di Cristo, dalla Passione alla Risurrezione, per la nostra salvezza. Il filo che lega le quattordici stazioni esprime il legame d’amore di Cristo con l’umanità.
Le vetrate danno continuità ai dipinti e ai colori dell’abside, con al centro il calice, l’ostia e il pesce: Cristo è centro e cuore della nostra vita.
La sede è il luogo liturgico che deve esprimere il ruolo di colui che guida l’assemblea e presiede la celebrazione nella persona di Cristo, capo e pastore.
La parete posteriore raffigura il beato Sebastiano Valfrè, a cui è dedicata la Cappella. A sinistra i santi Giuseppe Benedetto Cottolengo e Madre Teresa di Calcutta, il beato Giacomo Alberione e san Giovanni Bosco.
Hanno collaborato alla realizzazione artistica: Silvia Allocco, Cristiano Battaglino, Ivana Boglietti e Giuseppe Coppola.
Sebastiano Valfrè nacque il 9 marzo del 1629 a Verduno. Dopo i primi studi ad Alba e a Bra, a 16 anni si trasferì a Torino dai Gesuiti, provvedendo al proprio mantenimento copiando di notte libri e lettere. Nel 1650 si laureò in filosofia e nel 1656 in teologia, entrando in quell’anno nella Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri. Il 24 febbraio 1652 venne ordinato presbitero.
Nel 1675 cominciarono i suoi buoni rapporti con la famiglia Savoia. Il Valfrè accettò, anche se con riluttanza, di occuparsi del giovane Vittorio Amedeo II, con il quale si instaurò nel tempo grande stima e amicizia.
Il legame con lo Stato Sabaudo permise a Valfrè di trovare le risorse per realizzare molti dei suoi progetti di carità: per tutta la vita si prese cura di vedove e orfani, donò ingenti somme a ospizi e ospedali e visitò assiduamente le carceri.
Nel 1689 gli offrirono la carica di Vescovo di Torino, ma lui rifiutò, convinto che gli sarebbe stato più facile continuare a fare del bene rimanendo prete. Il 26 giugno 1694 assistette alla sostituzione dei teli di sostegno della Sindone e ne rammendò personalmente alcuni strappi; fu sempre molto devoto al sacro lino.
Durante l’assedio di Torino del 1706 da parte dei francesi, il Valfrè si adoperò, nonostante i 77 anni d’età, nel soccorrere i soldati feriti e la popolazione civile. Il Consiglio Municipale lo incaricò di organizzare novene e pubbliche devozioni per ottenere l’aiuto divino.
Il 13 febbraio 1707 Valfrè suggerì a Vittorio Amedeo II di erigere ad onore della Madonna, per la protezione sulla città, una grande Basilica, che sarà poi edificata a Superga.
Ammalatosi gravemente il 24 gennaio 1710, morì il 30 gennaio.
Il duca Vittorio Amedeo II pare che abbia esclamato:
“Io ho perduto un grande amico, la Congregazione dell’Oratorio un sostegno, i poveri un gran protettore e padre”.
Fu beatificato il 15 luglio 1834 da papa Gregorio XVI.