La sperimentazione della Rianimazione aperta al San Lazzaro è partita da qualche settimana e inizialmente è prevista per tre mesi. Si tratta di una novità molto significativa, che prevede anche un percorso di relazione e formazione per il personale medico e infermieristico.
Il progetto non è frutto soltanto dei dati statistici, che hanno dimostrato che una simile terapia “del cuore” può portare a risultati importantissimi, ma anche del rapporto quotidiano con un sacerdote che, per otto mesi, nel reparto, immobile ma vigile, ha comunicato con il linguaggio degli occhi alla rete di familiari e volontari che si è costruita intorno a lui. È stata questa la prima esperienza del genere per la rianimazione albese, che ha contribuito a far maturare un progetto che ben rispecchia l’ottica dell’umanizzazione della medicina.
Graziella Massano, dal giugno 2009 direttrice del servizio di anestesia e rianimazione del San Lazzaro, spiega: “Il ricovero in terapia intensiva è un evento critico sia per la persona ricoverata che per la famiglia. I congiunti sono disorientati dall’evento e hanno necessità di essere sostenuti e aiutati. La riabilitazione è stata fin qui pensata come un ambiente “chiuso”, con lo scopo di proteggere il malato da rischi d’infezione e stress emotivi e di evitare interferenze con le attività terapeutiche. Limitare le possibilità d’accesso ha però significato aumentare il disagio di degenti e famiglie, mentre di recente si è compreso che “aprendo” la rianimazione non si corrono rischi sul piano clinico e si ottengono benefìci al malato e ai congiunti, che possono essere coinvolti anche nelle decisioni terapeutiche”.
L’ospedale San Giovanni Bosco da due anni ha messo al centro della terapia intensiva un approccio “aperto”, che il San Lazzaro di Alba, dopo un periodo di formazione del personale, ha deciso di mutuare, coinvolgendo nel progetto psicologi, rianimatori, infermieri e familiari.
I pazienti d’ora in avanti potranno essere visitati ogni giorno dalle 14 alle 19 da una o due persone, che dovranno osservare una serie di semplici norme igieniche (lavaggio delle mani, camici e soprascarpe) e che saranno seguite attraverso colloqui con psicologi allo scopo di instaurare una relazione empatica e collaborativa utile ad “accompagnare” i congiunti, anche in caso di trasferimento ad altri reparti del paziente, dimissioni o decesso.